Dialogando con Alfonsa Toti
LAUS TRINITATI – HILDEGARD VON BINGEN
Come la musica gregoriana quella di Hildegard von Bingen merita la pratica più che la teoria. Cantare con il Coro Cantus Anthimi
Recentemente la sua musica mi ha ricordato il gioco dei bambini che scrivono con il succo di limone comunicazioni segretissime agli occhi degli adulti: basta poi il calore di una candela che le frasi appaiono su di un foglio fino ad ora bianco. Quando ci capita di cantare in chiese che hanno un’architettura sapientemente strutturata per far risuonare il canto monodico, come la splendida Abbazia di S. Antimo, la composizione di Hildegard prende vita e, in risonanza con la chiesa, si organizza ricreando le gerarchie che naturalmente la parola cantata esprime.
Di quella scrittura che appare remota e di difficile rappresentazione, le frasi musicali, anche quelle più misteriose, si svelano con il loro magistrale equilibrio interno e le figure neumatiche riacquistano la loro forza espressiva che sgombra il campo da dubbi interpretativi. Come la luce crea pieni e vuoti, la chiesa crea un’agogica naturale, costruita di respiro e pulsazione, di anelito e inquietudine.
Hildegard Von Bingen, nata nel 1098 in una famiglia della piccola nobiltà renana, il 17 settembre 1179 come da lei predetto, circondata dall’amore di tutte le sue sorelle, ritorna nella luce vivente. Nel 1233 i prelati di Magonza inviano alla curia papale il primo documento per proporre la canonizzazione della profetessa; nel 1324 il culto pubblico solenne viene autorizzato dal papa Giovanni XXII e tutt’oggi rimane attivo nel monastero di Eibingen; il 27 maggio 2012, dopo una lunga causa, papa Benedetto XVI a tutta la piazza S. Pietro dichiara Santa Ildegarda di Bingen Dottore della Chiesa. Fra queste date così distanti tra loro si dispiega la storia molto complessa di una personalità dalla ricchezza straordinaria, di una donna che ha lasciato opere geniali e innovative nei due ambiti in cui è stata appassionata ricercatrice: il visibile e l’invisibile.
Hildegard von Bingen non può essere contenuta nelle comuni definizioni di amante rispettosa delle gerarchie religiose o – in opposizione – femminista fuori dalla storia. Quando narra le sue visioni parla del dono della doppia visione, quella specifica condizione per cui l’immagine le appare nella sua doppia veste di oggetto reale e parte viva del disegno divino.
Non vive quindi contraddizioni fra la perfezione della grazia e la limitatezza umana. Per la straordinaria capacità di percepire la realtà del cammino dell’uomo dall’ombra verso “l’ombra della luce”, la sua vita temporale si solleva sulla storia ed esce dal tempo e dalle categorie che qualsiasi interpretazione della realtà di volta in volta si possa dare.
Carl Gustav Jung, osservando i suoi 82 anni trascorsi nella continua e a volte angosciosa ricerca di armonia interiore, definisce la propria vita un’ autorealizzazione dell’inconscio.
Questa definizione suggerisce una lettura forse impertinente della vita di Hildegard von Bingen, “paupercola foemina” guidata dalla luce abbacinante dell’amore divino a indagare le verità terrene e soprannaturali.
Molti restano affascinati dalla musica di Hildegard von Bingen perchè esprime proprio questo suo essere con il profondo presente a se stessa, profondamente nutrita della condizione apparentemente contraddittoria di creatura e anima che contempla l’eternità.
Nella sua opera dichiara ripetutamente il suo credo: tutta la vita dell’uomo deve rivolgersi al ritorno nella grazia, perduta con il peccato originale. Lo scopo della vita umana è recuperare la dignità di essere umano, immagine della Luce.
Questo lavoro propone una riflessione sulla Trinità, uno dei temi più cari ad Hildegard. In questo contesto non vale la pena di soffermarsi sulle questioni teologiche che la sua concezione implica, è sufficiente ricordare quanto ogni immagine o affermazione siano frutto di meditazione e approfondita elaborazione dato che la composizione dei brani ha affiancato la stesura delle sue monumentali opere teologiche nelle quali descrive e spiega le visioni.
Accompagnano lo sviluppo dei tre temi, Padre Figlio e Spirito Santo, alcuni brani tratti dal repertorio gregoriano.
Sarebbe interessante osservare quanto si differenzino stilisticamente queste musiche di cui non esiste un compositore da quelle “d’autore” scritte da un’unica mano e probabilmente poco rimaneggiate.
Probabilmente cominciò a comporre intorno al 1140 e proseguì almeno fino al 1158. Alcuni studiosi ritengono che abbia poi continuato fino al 1175. In realtà le date prese in considerazione riguardano la raccolta e sistematizzazione delle composizioni di cui è difficile determinare il numero a causa delle varie forme compositive: sequenze, inni, antifone e responsori.
La “Symphonia armoniae caelestium revelationum” costituita di circa 77 brani, composti per le liturgie del Rupertsberg e per le liturgie delle comunità che ne facevano richiesta, rimane la prima e fondamentale opera musicale rilevante per l’originalità e organicità della struttura.
La scelta dei brani si apre con un’antifona, inno di lode alla Trinità, suono e vita generatrice di vita e si chiude ancora con un’ antifona, inno alla pienezza dell’ Amore divino, che trabocca come onda da tutta la creazione perché al Sommo Re dette il bacio della pace.
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